Uranio sulle Orobie - La storia dell’uranio di val Vedello e dintorni

di Camillo Mario Pessina

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Benito Piacenza

 

Benito Piacenza


“E’ così in gamba da non aver bisogno di dimostrarlo”(2)

Un’ uomo eclettico.

E’ mancato il 14 di ottobre di quest’anno (2008), causa un attacco cardiaco, Benito Erminio Piacenza, un’ altro degli “Uomini dell’uranio” di Val Vedello; aveva sessantasette anni. Nella morte ha seguito di pochi mesi l’amato fratello gemello Italo Franco, paleontologo, grande esperto di fossili.

Benito - perché così noi dell’Agip l’avevamo sempre chiamato - mi raccontava che i nomi Benito e Franco furono imposti ai tempi del fascismo dal Podestà,  quando i suoi genitori li vollero battezzare, perché il cognome "Piacenza" sembrava in odore di famiglia ebraica.

I lettori si chiederanno chi fosse mai quest’uomo del quale  quasi sicuramente sentiranno parlare per la prima volta. Benito -  veneto dal carattere dolcissimo e dall’innata curiosità, irresistibilmente attratto dai fenomeni naturali - non era laureato e non era diplomato; autodidatta, era diventato con il tempo, grazie ad una genialità portata a volte al limite della stramberia, un grande conoscitore di minerali e esperto intagliatore di  pietre preziose, al punto d’essere frequentemente  chiamato  “dottore”.

Il ritratto che ha fatto di lui  Agostina D’Alessandro Zecchin (2) che l’ha conosciuto sin da bambina è così bello  e reale che ne ripropongo una parte.

…… La sua conversazione spaziava dalle gelate distese di Tunguska alle misteriose e splendide Pietre Verdi, dall'iridescenza della livrea nei coleotteri alla leggendaria città scomparsa di Zerzura, dall'origine del nome Akela alle tecniche di carotaggio minerario, dalle ricerche di giacimenti uraniferi in Tanzania a cosa dava il colore rosso al sangue. Interessante, modesto, semplice, con la testa fra le nuvole, come si conviene ad ogni scienziato, Erminio possedeva fossili, minerali e gemme di valore inestimabile eppure viaggiava su macchine vecchissime, talvolta malandate. Ciò destava l'ilarità degli stupidi e la tenerezza affettuosa di chi lo conosceva, lo apprezzava e lo amava… moglie, figlie, fratelli, amici, studenti e colleghi. Con un eufemismo potrei dire  che da qualche settimana Erminio non c'è più, ma non lo farò, perché considero Erminio semplicemente in una dimensione parallela, nella quale ha ritrovato il  suo gemello, che appena pochi mesi fa l'ha preceduto. Ora finalmente la città misteriosa e introvabile di Zerzura ha  aperto per lui  le sue lucenti porte di rame, così a lungo cercate”.


Come dipendente Agip, Benito aveva partecipato alle ricerche uranifere che l’Eni compiva negli anni settanta  in Italia, in Zambia, nel Congo Brazzaville e in Bolivia, dove conobbe una ragazza che divenne poi sua moglie, deceduta l’anno scorso, lasciando un vuoto incolmabile nel suo cuore. Benito aveva  lavorato in Val Vedello producendo per l’area posta  a cavallo con l’alta Val Seriana  un magnifico plastico topografico  alla scala 1:5.000.  Il plastico era costituito da tanti blocchi  che  separati   permettevano la visione geologica dell’ interno del gruppo montuoso.

Delle rocce e dei campioni minerari della Val Vedello, Benito aveva eseguito numerose e splendide sezioni sottili e lucide, necessarie al compimento degli studi petrografici e minerografici al microscopio. “Uniche” le “controimpronte” fotografiche che era riuscito a realizzare per le rocce uranifere. Benito ha contribuito allo studio di alcuni minerali (3) della Val Malenco.

Da ex dipendente Agip in pensione insegnava all’Istituto Gemmologico Italiano di Milano. Docente di “taglio e lavorazione delle gemme” aveva ricevuto incarichi di insegnamento dalla Provincia di Milano. Novello Indiana Jones, partecipò ad alcune spedizioni scientifiche nel Sahara egiziano e libico, irresistibilmente attratto dalle bellezze naturali e dai numerosi misteri che esso ancora cela.

Come Heinrich Schliemann trovò l’antica città di Troia ed il "Tesoro di Priamo" riferendosi ai poemi omerici, così altri esploratori, basandosi su antiche leggende arabe, fecero stupefacenti ritrovamenti. Esse raccontano che  nel “mare di sabbia” c’era l’antica città scomparsa di Zerzura, "bianca come una colomba", il mitico sito del “vetro delle stelle”  e le perdute cave di ocra di Cheope. Benito insieme ad altri ricercatori ritrovò e studiò  alcuni di questi mitici luoghi e di tutte queste sue esperienze teneva numerose conferenze.

Ho parlato con lui al telefono la settimana prima che morisse. Mi colpì in lui - nonostante gli anni passati - il rammarico per il trattamento riservato agli ex uranio Agip, considerati dai colleghi del petrolio come  degli appestati, dei radioattivi, degli untori da evitare.

 


La Nefrite della Val Malenco (Sondrio) (3,4)

La Val Malenco è nota per fornire un gran numero di minerali. Recentemente è stato rinvenuto un nuovo minerale - una varietà di giada -  molto utilizzato e commercializzato nel mondo; la nefrite (la parola deriva dalla parola greca nephros “rene”) e trovato da Pietro Nana. Tale rinvenimento fu annunciato ufficialmente nel Gennaio 2002 al Fourth Symposium of the Federation for European Education in Gemmology(3). La giada fu  scoperta in una vecchia miniera di talco presso l’Alpe Mastabia, ad un’altezza di circa 2100 metri sul versante orientale del Monte Disgrazia.

Benito Piacenza, Vincenzo de Michele e Giuseppe Liborio, hanno studiato le caratteristiche di questo nuovo minerale. Il materiale è in apparenza massivo con lucentezza cerosa. Il colore varia da verde mela a verde chiaro a giallo verdastro. E' traslucido e può contenere rosette fibroso-raggiate, visibili ad occhio nudo, di un minerale biancastro identificato come tremolite. Di fatto, le analisi chimiche quantitative e i diagrammi di diffrazione X hanno individuato come costituente principale una tremolite lievemente ferrifera. I parametri chimici sono molto vicini a quelli della nefrite classica di Khotan, nella regione cinese dello Xinkiang, ricordata anche da Marco Polo. L'antica giada intagliata in Cina era quella che ora chiamiamo giada nefrite: un minerale anfibolito. Nel 19° secolo, si scoprì che un simile materiale che proveniva  del nuovo mondo non era lo stesso minerale della giada cinese. Il minerale dell'America centrale, un pirossene, fu chiamato giadeite per distinguerlo dalla nefrite originale.


Il Silica Glass, il “vetro delle stelle”  e il pettorale di Tutankhamon (1)

Una leggenda araba

Un manoscritto medievale arabo che parlava delle piste  del deserto libico, riportava questo avvertimento:  “Le carovane  che attraversano il deserto da Abu Minqar (Egitto) a Cufra (Libia) devono fare molta attenzione. C’è una vasta regione dove il terreno è cosparso di ” pietre verdi”  bellissime ma taglienti che possono ferire le zampe dei dromedari”. Molti viaggiatori le cercarono nel corso dei secoli senza risultato. Ci riuscì nel 1932 un esploratore inglese, Patrick A. Clayton,  che ne portò a Londra alcuni frammenti.

L’anno successivo al ritrovamento, fu accompagnato in una nuova spedizione dal dr. Spencer del British Museum che diede a questo minerale il nome di “Silica Glass”; lo giudicò talmente bello e prezioso da esporlo al British Museum, tagliato a forma di gemma.

Ci riprovò una spedizione italiana ; la spedizione Castiglioni-Negro nel  marzo/aprile del 1996. A questa spedizione alla ricerca del “silica glass” hanno partecipato oltre al dr. Vincenzo De Michele, il prof. Romano Serra, Benito Piacenza, il dr. Ali al-Barakat, geologo dell’Università del Cairo e Luigi Balbo, fotografo della missione. Anche se a tutt’oggi non sono stati ancora chiariti tutti i “misteri” che avvolgono il “silica glass”, sappiamo (è la teoria più accreditata) che questo minerale formatosi circa 28,5 milioni di anni fa, sembra sia stato generato  da una cometa o da un meteorite entrato nell’atmosfera terrestre ad una velocità elevatissima, esplodendo ad una altezza di 10-12 chilometri dalla superficie del deserto. Le alte temperature provocarono la fusione delle sabbie silicee del deserto. Il successivo, lento processo di raffreddamento  determinò la trasparenza  del “silica glass”.

Il silica glass è un minerale unico e di grande bellezza. Si presenta in blocchi di diverse dimensioni e il colore giallo-verde-azzurrino e la buona trasparenza lo rendono addirittura un materiale gemmologico. Non è quindi un vetro comune  (come potrebbe essere l’ossidiana), ma un vetro siliceo molto puro con oltre il 98% di silice ; in pratica un vetro naturale. Il deposito si  trova nel  “Great Sand Sea”, il “grande mare di sabbia”; uno dei deserti più inaccessibili del pianeta. La regione  si estende ad  ovest del Nilo in territorio egiziano sino al deserto  libico.

Il pettorale di TutankamonLa gemma centrale del pettorale di Tutankhamon (foto a lato) rappresenta “Khepri”, lo scarabeo che incarna il sole nascente. Si credeva che “Khepri” fosse di calcedonio. Nel 1998 un’equipe italiana - composta da  Gian Carlo Negro, da Vincenzo de Michele, Romano Serra e Benito Piacenza - fu autorizzata dal Museo Nazionale Egizio del Cairo ad analizzare, con metodologie gemmologiche non distruttive, questo scarabeo. I risultati hanno accertato in modo inequivocabile che non è di calcedonio, come si era sempre creduto, ma di “silica glass”: il "vetro delle stelle".


L’ocra dei faraoni

Benito Piacenza partecipò  a studi(5) recentemente fatti su ” l’ocra dei faraoni”, i cui depositi sono stati rinvenuti nel Sahara orientale. L'ocra è stato il colorante più diffuso al mondo, dalla preistoria fino a metà Ottocento. Nel gran mare di sabbia del deserto  più arido e inospitale della terra, tra Egitto e Libia, si trova un'enorme cava di ocra rossa intagliata in terrazzi argillosi. Cheope che volle per sé la piramide più grande e magnifica, volle anche l'ocra del deserto e per procacciarsi il rosso pigmento inviò i suoi uomini in rischiosissime missioni. Il rosso pigmento è ripetutamente nominato in 26 sigilli di pietra e 50 frammenti di ceramica incisa scoperti di recente (l'annuncio è del 28 aprile scorso) vicino alle piramidi di Giza. Narrano di una missione militare di 400 uomini inviata da Cheope nel deserto proprio per raccogliere ocra rossa. L’ocra di buona qualità qui rinvenuta in grande quantità  è costituita sostanzialmente da una argilla caolinica in cui sono contenuti  rossi pigmenti di ematite (ossido di ferro).

 

 

 

 

 

Riferimenti

(1) - Castiglioni Alfredo e Angelo. Il pettorale di Tutankhamon e il "Silica Glass". (da:  Leggende e misteri del deserto). http://www.cigv.it/ilviaggio / neldeserto. html

(2) - D'Alessandro Zecchin Agostina (Novembre2008). Le porte di Zerzura. www.dabicesidice.it

(3) - De Michele V., Liborio G., Nana P., and Piacenza B. (2002). Nefrite della Val Malenco (Provincia di Sondrio, Lombardia, Italia). Bollettino dell’Istituto di Mineralogia  “F. Grazioli”, 1/2002,13-15.

(4)  - Douglas Nichol and Herbert Giess (2005). Nephrite jade from Mastabia in val Malenco,Italy. Gemmological Association and Gem Testing Laboratory of Great Britain.

(5) - Negro Giancarlo, De Michele Vincenzo and Piacenza Benito (2005). Further  remarks on the ochre quarries in the Western Desert, Egypt. A complement to our paper “The Lost Ochre Quarries of king Cheops and Djedefre in the Great Sand Sea (Western Desert of Egypt)”. Published in Sahara volume 16, pag. 121-127, Pl. G-P, and to dr. Carlo Bergmann's remarks.

Dalmine(Bergamo) -  30 novembre 2008

C.M. Pessina (geologo)



A ulteriore completamento della figura di Benito Piacenza ho voluto aggiungere l’epigrafe stilata da Vincenzo De Michele, suo caro amico e compagno dello Zerzura Club. Le foto e le ulteriori note sono sempre di Vincenzo De Michele.


BENITO PIACENZA (15.07.1940 - 14.10.2008)

Venuto a mancare improvvisamente il 14 ottobre scorso, Benito Piacenza era nato a Verona e a Verona aveva frequentato gli studi tecnici e contemporaneamente il Museo di Storia Naturale di Lungadige Porta Vittoria, dove il conservatore Angelo Pasa riusciva a coltivare in lui l’innato e intenso amore per le scienze della Terra. Di conseguenza il primo lavoro portò Benito Piacenza in giro per l’Italia a raccogliere esemplari d'interesse didattico per la ditta Radius di Padova e a formare Innumerevoli collezioni specializzate per le scuole superiori. Negli anni dello sviluppo delle ricerche uranifere, Benito Piacenza fu assunto come prospettore dall’AGIP e inviato dapprima nella miniera di Novazza in Val Seriana, indi nel Congo Belga e in quello Francese, infine in Bolivia. Tornato in Italia, condusse il laboratorio sezioni lucide e sottili Agip SGEL: famose sono rimaste nell’ambiente le sue sezioni sottili di formato spettacolare, anche13x18. Nello stesso tempo iniziava una proficua collaborazione con l’Istituto Gemmologico Italiano, per il quale ha tenuto per oltre tre lustri il corso serale di taglio delle gemme. Al 1991 data la collaborazione con la Fondazione Luigi Negro per lo studio del Libyan Desert  Silica Glass. Da allora e fino al 2007 ha partecipato a sette spedizioni nel Gran Mare di Sabbia in Egitto per definire l’area di distribuzione del vetro e studiarne la struttura microscopica e le inclusioni: è stato il primo nel 1996 a evidenziare la tessitura occhiadina con la catodoluminescenza. Nel 1994 la sua collezione mineralogica è stata acquisita dal Museo Civico di Storia Naturale di Milano. Sempre di buon umore, amante della vita e della Natura, di grande modestia e padre affettuoso, Benito Piacenza lascia due figlie e quattro belle nipotine.

Vincenzo De Michele

Nel febbraio 2009 il gruppo dello Zerzura Club ritorna in Egitto dove già erano stati nel 1996 e nel 2007 con Benito, con l’intenzione di posare su una roccia, in pieno deserto, una targa in suo ricordo. La targa è stata posta nel remoto ma verdeggiante Uadi Zerzura 2 (“abusivamente” così battezzato dal Club) dove i membri del Club erano scesi per primi nel 1996 e dove erano tornati nel 2007, sempre con Benito. La targa è in rame perchè le porte della città perduta di Zerzura erano in rame.

Sulla targa la scritta:  “In memory of /Benito E. Piacenza/1940-2008 / mineral prospector / gem cutter /founder member of the new Zerzura Club”.

 

 

nella foto: 19 febbraio 2009 - Uadi Zerzura 2 - Deserto egiziano - libico. Targa in ricordo di Benito Piacenza posato dal Zerzura Club.( In memory of/Benito E. Piacenza/1940-2008/mineral prospector/gem cutter/founder member of the new Zerzura Club). L'acacia sullo sfondo è drappeggiata con lo stendardo del nuovo Zerzura Club, di cui Benito faceva parte dalla fondazione. La tolla a lato è un vecchio bidone Shell di benzina degli anni 30-40, oggetto mitico di tutti coloro che cercano Zerzura. All’interno, oltre a numerosi frammenti di “silica glass”, il primo libro che parla della mitica città di Zerzura. (Foto originali del Zerzura Club) - (fotomontaggio Pessina C.M.2010).